Nel percorso che stiamo affrontando con il gruppo del #ilrazzismonellaletteratura abbiamo inserito e, aggiungo, meno male questo saggio autobiografico, che ripercorre l’esperienza affrontata dall’autore, giornalista e scrittore nel 1959.
John Howard Griffin, alla fine degli anni ‘50, volle rispondere all’apparentemente semplice domanda “Che cosa si prova ad essere neri in una terra che opprime i neri?”. Attraverso una cura in pillole e tinture, modificò a tal punto il proprio aspetto fisico da mutare persino il suo atteggiamento nei confronti delle cose che lo circondavano. Quando per la prima volta si guardò allo specchio e vide un uomo dalla faccia nera e dalla testa rasata, non si riconobbe. Non riconobbe in quell’immagina riflessa se stesso. Di spaesamenti e prese di coscienza è pieno l’intero libro.
La prima presa di coscienza riguarda la libertà di azione e movimento: se da uomo bianco poteva accedere ad ogni luogo e fare ciò che preferiva quando preferiva, da uomo di colore questo non era possibile, persino andare in bagno diventava una vera e propria impresa. Un uomo di colore non poteva fissare un uomo bianco negli occhi, difficilmente trovava lavoro, ed era sempre visto con sospetto dovunque andasse e qualsiasi fosse il suo comportamento.
Momento dopo momento si rende conto, sulla sua stessa pelle, come i diritti dei bianchi non sono uguali a quelli dei neri.
Come nero sente quanto conti la “fratellanza”, come sia solidale ed importante il legame che si crea tra chi, a causa del colore della pelle, subisce, fin dalla nascita, continue limitazioni alla propria libertà personale e continuo disprezzo verso il proprio valore.
Capisce anche che l’unico modo per sopravvivere di fronte ai continui pregiudizi e rifiuti è pensare che certi comportamenti i non sono rivolti a loro come singoli ma come appartenenti ad una razza. Questo naturalmente li offende nel profondo e scava dentro di loro un baratro, perché non si sentono mai giudicati come essere umani ma soltanto per il colore della loro pelle.
“L’unica cosa che impedisce ai neri di disperarsi completamente è la loro convinzione, la stessa vecchia convinzione dei loro antenati, che tutto ciò non è diretto a loro personalmente, ma alla loro razza, alla loro pigmentazione. Le madri, le zie e le maestre li hanno preparati accuratamente tanto tempo fa, spiegando loro che, come individui, possono vivere dignitosamente, anche se, da neri, non possono. “Non ti trattano così perché sei Johnny, neanche ti conoscono. Lo fanno perché sei nero”.
Ma quando viene rifiutato, anche se questo rifiuto non è personale, per esempio quando devi stringere i denti per cercare un bagno per neri, non si può razionalizzare. Il nero si sente attaccato nel profondo, ferito. Gli fa vedere i bianchi in un modo che loro non potrebbero mai comprendere: se i neri sono dalla parte della massa, i bianchi sono sempre individui, che negheranno sinceramente di essere “come quelli lì”, loro hanno sempre provato ad essere giusti e gentili con i neri. Questi uomini si offendono se trovano un nero sospettoso nei lor confronti, non realizzano che un nero non riesce a capire perché, se bianchi come individui sono gentili e “buoni” con la gente di colore, i bianchi in quanto gruppo si sforzino di costruire una società che distrugga il valore umano dei neri, la loro dignità, la fibra del loro essere”.
Questo spiega anche perché di fronte a tante brutture e a comportamenti scorretti i neri si rifugino nei piaceri: il sesso, l’alcol, ma anche la musica, il ballo, l’arte, sono modi attraverso cui cercano di superare il senso di inferiorità a cui sono costretti dalla nascita.
E questa totale e incomprensibile mancanza di diritti e di conseguenza di giustizia rende disumano tutto ciò che ogni uomo nero prova da quando nasce a quando muore. “L’assenza di giustizia è l’assenza di ciò che lo rende uomo” diceva Platone.
Nel confrontarsi e convivere con persone di colore dimostra come due degli argomenti più usati (moralità sessuale e incapacità intellettuale) sulle differenze etniche e culturali si basi su luoghi comuni. In realtà l’uomo nero ha la stessa visione della famiglia di un bianco, anela le stesse cose: una famiglia sana, dei figli che possano studiare, una casa dignitosa, un lavoro che gli permetta di mantenerli.
E’ la mancanza di un istruzione idonea e uguale a quella dei bianchi, il mancato accesso ai finanziamenti e la continua ripetizione di essere inferiori a limitare la società nera e rendere complicato l’avanzamento sociale ed impediscono di fatto quell’innalzamento che permetterebbe di superare il dislivello tra le due razze.
La società degli Stati Uniti del 1960 si basa sul volontario allontanamento (segregazionismo) dei neri dalle scuole, dai luoghi di lavoro, dai bar, perché i bianchi non vogliono uomini neri in giro a dispetto di qualsiasi discorso su uguaglianza e diritti civili, fatto dagli integrazionisti.
Ciò che emerge è come il segregazionismo e la creazione di due società parallele che non si intersecano mai, venga vista come unico modello di convivenza.
Per l’autore questa esperienza fu illuminante e allo stesso tempo devastante. Provare sulla propria pelle, e non come un attore che impersona un ruolo, ma proprio immedesimandosi completamente nel suo doppio dal colore diverso, la discriminazione, la diffidenza e in alcuni casi l’odio immotivato, lo condizionò e lo mosse a cercare di cambiare l’atteggiamento di chi lo circondava. A dare voce e sostenere le lotte che in quegli anni videro emergere Martin Luther King e il movimento dei diritti civili.
Le reazioni al suo libro e alla sua esperienza non si fecero, però, attendere, da una parte la società più emancipata che non si riteneva razzista e riteneva assoldamento ingiustificate ed immotivate le critiche mosse, dall’altra chi reputava i neri esseri inferiori e non intendeva in nessun modo dar voce ai loro bisogni e rivendicazioni. Lo scrittore perciò dovette cambiare casa a causa delle minacce subite da lui e dalla sua famiglia, fu considerato una vergogna della società, subì intimidazioni.
Nero come me ha reso comprensibile e chiarito molti degli aspetti che affioravano nei romanzi letti finora: dai continui riferimenti allo Zio Tom, quello della famigerata capanna, che compare praticamente in ogni libro che tratti di razzismo; alla mancanza di lavoro ed opportunità per i giovani di colore; dalle donne che si trovano costrette a sobbarcarsi quasi integramente la fatica di mantenere economicamente la famiglia, all’alcool e il sesso usati come pagliativi per superare il senso di inferiorità e la mancanza di prospettive.
Un esperimento sociale, un reportage che diventa atto d’accusa di un sistema e di una società profondamente razzista.
Nero come me di John Howard Griffin – Fandango Libri (2021) – pag. 237