Non è il primo libro di Timothée de Fombelle che leggo. Ero già rimasta rapita ed incantata dalla storia di Tobia e del piccolo microcosmo in cui vive, che l’autore francese riesce a descrivere divinamente e qui, complice una copertina suggestiva e magica, mi sono lasciata tentare di nuovo. Certo Il favoloso libro di Perle è stato ad aspettarmi per una decina d’anni, ma come abbiamo detto più e più volte i libri non vanno a male ed è bello riscoprire piccoli tesori che ci aspettano.
Questo è un libro da cui farsi rapire e da cui non bisogna pretendere che sveli subito la sua magia. Perché ci vuole un po’ a capire in quale modo quelli che a prima vista sembrano pezzi scombinati di un puzzle – come se un editore dispettoso avesse fatto a pezzi un libro e messo a caso i numeri ai capitoli lasciando al lettore il piacere di ricostruirlo – si incastrino, dando alla fine l’immagine completa.
E c’è da dire che probabilmente una narrazione lineare avrebbe dato origine ad un libro molto più banale e scontato.
Dall’incipit misterioso che sa di regno fatato, al proseguo narrato in prima persona che inizia a far nascere una serie di domande: chi è il ragazzo e chi l’uomo che lo accoglie, che vive in una capanna ai margini di un bosco in compagnia di tre cani, circondato da oggetti stravaganti e da un vero e proprio muro di valigie; per proseguire nella Parigi del 1938 nella bottega di artigiani confettieri… il romanziere francese sa come tenere alta l’attenzione del lettore, avvinto dalla malia della storia e desideroso di scoprire che cosa celino tutti questi livelli di narrazione e in quale modo si fondino insieme.
Un vecchio signore raccontò storie che fecero stringere il cuore a Jo Perle. Le conosceva già tutte, quelle storie. Perfino la voce del narratore somigliava a quella di suo padre. L’uomo parlava di un barba blu, di un boscaiolo e dei suoi figli, di una bambina con dei fiammiferi, di una fata che faceva spuntare carrozze dalle zucche.
Perle guardava gli occhi splendenti di quella gente. Si diceva che non tutto era perduto. Una cattiva sorte l’aveva cacciato in questo mondo per cancellare il suo passato, ma lui lo ritrovava ovunque, quel passato, nella voce dei vecchi, nello sguardo dei bambini. Era come se nella grandi occasioni si svegliasse il ricordo dei regni. Bastava un momento serio o uno felice, una piccola folla riunita davanti a un fuoco oppure un incontro a due prima che facesse buio perché la finestra si socchiudesse.
In ordine sparso abbiamo: un ragazzino con la passione per la fotografia, un giovane esule che viene accolto in una piccola pasticceria parigina, due genitori che hanno perso l’unico figlio, i venti di guerra incombenti, la prigionia, le deportazioni degli ebrei e ancora un mondo fantastico dove vive una famiglia reale serena, un re innamorato, una regina incinta, una piccola fata delle sorgenti, un genio delle paludi, combattimenti, arcieri, inseguimenti, doppi giochi, una maledizione, pile e pile di valigie di cartone e cuoio – contenenti pezzetti di un altro mondo -, una straordinaria collezione di frammenti del mondo fatato – la squama di una sirena, un pezzo di culla, una fionda –, amorevolmente incartati nella velina delle dolci e profumate toffolette, una capanna sorta dove l’incrocio di vecchie carte geografiche non si tocca, uno struggente finale a Venezia…
Il tutto per raccontare una bellissima storia d’amore, quelle in cui Eros e Thanatos procedono avvinghiati.
Ilian era cresciuto con le storie narrate da suo padre nelle notti e negli inverni senza fine, però, gli mancava qualcosa del meccanismo delle fiabe.
Invece ora aveva finalmente compreso, il segreto nascosto in tutte le storie, la misteriosa energia che le animava. Ciò che trasformava gli anatroccoli in cigni. Ciò che causava le gelosie, i duelli, la disperazione delle regine e volte perfino le battaglie tra gli eserciti, le imprese di un piccolo sarto, la follia di un vecchio re.
La trama come dicevo ha una struttura complessa, che procede su più piani temporali, cambi di narratore e salti di dimensione: da quella reale a quella fantastica, e che si fonda su un meccanismo a scatole cinesi che racchiude misteri a non finire.
Per gustarla occorre sospendere l’incredulità e farsi condurre dalla magia della scrittura di de Fombelle in un universo fiabesco per assistere alla nascita di un amore struggente tra una fata e un principe che non sarà mai re, entrambi vittime di un incantesimo atroce che li vuole esiliati “nell’unico tempo e nell’unica terra dove non si crede né alle favole né alle fate”.
Un inno al potere del racconto (uno dei protagonista strapperà alla morte un amico grazie alla potenza della sua storia) e alla intensità di un amore limpido e cristallino che neanche la distanza o l’impossibilità estingue, come un fuoco perenne, che trapassa i confini degli universi e la morte pur di continuare ad esistere.
Timothée de Fombelle distilla una sorta di elisir ammaliante, un racconto che sarebbe perfetto da ascoltare davanti ad un fuoco dalla voce suadente di un aedo che non legge la pagina di un libro ma cattura l’ascoltatore nell’incantesimo della storia.
Il favoloso libro di Perle è una storia avvolgente, dalla quale si viene risucchiati.
Un invito addirittura esplicito nelle ultime righe a credere nel potere delle storie, perché solo l’immaginazione, la creatività e la fantasia sono le vere forze che abbiamo per incidere sul mondo. Non per nulla de Fombelle conclude l’opera richiamando la celebre citazione di J.M. Barrie dal Peter Pan: “Ogni volta che qualcuno dice ‘ Io non credo alle fiabe’, da qualche parte una fata muore”.
Il favoloso libro di Perle Timothée de Fombelle [Le Livre de Perle 2014] – Mondadori (2015) traduzione di Maria Bastanzetti – Illustrazione di copertina di Mariachiara Di Giorgio – pag. 308