Ho una vera e propria passione per i libri che parlano di vicende storiche intrecciandole con la trama, in un mix di reale e di immaginario che rende più vivida e sicuramente appassionante la lettura. E questo fa magistralmente il romanzo La casa della moschea di Kader Abdollah.
Attraverso la storia della casa che dà il titolo al romanzo lo scrittore ci immerge nella vita dell’Iran dal 1969 agli anni ottanta. Un paese passato da una condizione feudale ad una repentina modernizzazione del regime dello Scià, sostenuto dagli Stati Uniti e poi ripiombato nel medioevo del governo teocratico.
“C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una grande casa, con trentacinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo”.
Soprattutto nelle prime pagine emerge l’atmosfera magica della moschea collegata alla casa, dove vive il mercante di tappeti Aga Jan e la sua famiglia. Un luogo fatato, una dimora secolare dove le antiche tradizioni si fondono tra preghiera, riti ancestrali e vicende comuni. All’ombra del minareto, amori, matrimoni, sogni e delusioni si intrecciano come i fili variopinti dei meravigliosi tappeti disegnati e realizzati da Aga Jan, ispirati però dai colori e dalle figure dei piumaggi degli uccelli delle voliere di sua moglie Faqri Sadat.
Una dimensione quasi fiabesca, che richiama alla memoria il fascino de Le mille e una notte, nelle storie che si intersecano, nel fascino dei racconti che animano i cortili, nella descrizione dei vari personaggi che vivono nella casa, a partire dalle due nonne, sempre presenti, coloro che gestiscono, amministrano, puliscono quella casa variegata e piena di persone, che hanno un desiderio nascosto da realizzare prima di morire, per finire al muezzin cieco e ai vari iman le cui vicende seguiamo nel corso del libro.
Ma presto questo mondo quasi idilliaco lascia il posto alle tensioni. Il mal governo dello Scià, la sua modernità imposta senza tener conto dell’importanza della religione per i cittadini, il malcontento per la crisi economica e la corruzione sfociano in una tensione sociale e politica sempre più alta che trova risposta nell’estremismo religioso capitanato dall’Ajatollah Khomeini.
E quell’Islam moderato, armonico, tollerante, viene spazzato via dall’oscurantismo e fanatismo della Rivoluzione Islamica, che impone regole, annienta tradizioni, imprigiona e punisce. Un integralismo religioso, dove qualunque manifestazione viene considerata peccaminosa, a partire dal cinema, la televisione o il canto. E gli oppositori o anche i semplici “laici” subiscono condanne a cui seguono esecuzioni sommarie, senza nemmeno l’onore della sepoltura.
Aga Jan rappresenta magistralmente lo sgomento di un uomo che vede il suo mondo di certezze collassare, i principi che lo hanno ispirato schiacciate dall’arroganza di chi detiene il potere, il suo ruolo centrale assottigliarsi ed essere via via sostituito. Impotente di fronte all’avanzare di nuove idee, di un nuovo mondo in cui non ha più ruolo né parte.
“E’ successa una rivoluzione Faqri, questo non è solo un rovesciamento del potere politico, qui si è capovolto qualcosa nella testa della gente. Stanno per succedere cose che nessuno di noi avrebbe mai immaginato in una vita normale. La gente commetterà atrocità terribili. Guardati attorno, non vedi come tutti sono cambiati? Le persone sono quasi irriconoscibili, non si capisce se si sono messi una maschera o l’hanno gettata.”
Lo scrittore in questo romanzo torna “nella terra degli affetti, della memoria, nei luoghi di una storia personale e politica”, che è stato costretto ad abbandonare per finire esule in Olanda, cercando di ricostruire i passaggi che hanno portato un popolo moderato, la cui cultura e origine rimanda alla ricchezza e varietà della Persia, ricca di giardini, arti e poesia, al regime oppressivo e liberticida dell’Iran degli ayatollah.
Kader Abdolah distilla un romanzo che unisce lo spirito affabulatore di Sharazade alla crudezza della descrizione di un regime violento, che in nome di un dio impone una politica intollerante. E ci restituisce tutta la complessità della storia iraniana.
La casa della moschea di Kader Abdolah [Het huis van de moskee 2005]– Iperborea (2008) – traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo – pag. 463

