Le mille facce dell’amore

E’ straniante quando si inizia un libro aspettandosi un certo contenuto e ci si trova di fronte tutt’altro.

E’ quello che mi è accaduto leggendo “Un altro mondo” di James Baldwin. Convinta di leggere la storia di una relazione interrazziale, delle difficoltà dovute ad amarsi nonostante il colore della pelle e al razzismo strisciante o manifesto, mi sono trovata di fronte un libro composito dove domina la dicotomia non solo tra bianco e nero, ma anche tra donna e uomo, europeo americano, abitante del Sud e del Nord degli Stati Uniti.

La storia di Rufus e Leona, che inizialmente pare centrale, sparisce dopo poco più di cento pagine. Rufus, batterista nero, rimane essenziale nel racconto degli amici, di chi l’ha conosciuto e gli ha voluto bene, ma il palcoscenico lascia il posto ad altri protagonisti: a Vivaldo, giovane scrittore irlandese, a Cass, moglie annoiata di Richard, scrittore che finalmente ha pubblicato la sua opera, a Ida, sorella di Rufus ambiziosa e determinata ad emergere, e poi ad Eric, attore che torna a New York dopo un lungo soggiorno in Francia, dove ha conosciuto Yves.

Un girotondo di coppie, di sentimenti, di caos in una New York degli anni sessanta.

C’è una frase nel libro che mi ha colpito molto e forse è la chiave di lettura di questo imponente romanzo, scritto benissimo che apre infinite riflessioni:

Ci sarà scampo? Come fai a vivere senza amare? E come fai a vivere se ami?

Perché l’amore tra queste pagine è basilare: cercato, realizzato, voluto, evitato, finito, maltrattato, tradito, incompreso, illusorio, doloroso, impossibile. L’amore che rende sopportabile la vita, ma anche l’amore che non basta a cambiarla. L’amore meschino, ingannevole, volubile, doloroso che strappa dalla monotonia quotidiana o che illude di essere la soluzione ai problemi, ma che alla fine lascia più soli di prima.

Tutti i protagonisti cercano nell’amore la risposta ai loro drammi o per lo meno la consolazione a ciò che non li soddisfa e tutti restano annientati dall’impossibile realizzazione dell’amore che hanno in testa o che pensano di volere.

Oltre all’amore in tutte le sue declinazioni e possibilità, e al valzer di coppie che si abbinano in ogni possibile combinazione, in “Un altro mondo” sono presenti molti dei temi amati dallo scrittore statunitense, primo fra tutti il pregiudizio legato al colore della pelle. La discriminazione strisciante a tratti, e a tratti manifesta, che porta a sentire l’occhio dell’altro sempre presente a discriminare, a giudicare, a condannare, a odiare. Discriminazione che subisce anche chi è omosessuale, oggetto di scherno, di derisione costante fino alla violenza.

E l’idea, derivata dal soggiorno parigino di Baldwin, che dall’altra parte dell’oceano, in Francia, questa discriminazione verso il diverso, almeno in parte, sia decisamente meno opprimente. La diversità sia sessuale che basata sul colore della pelle sia meno invisa più tollerata. Come se un altro mondo fosse possibile.

Quello che spicca è poi la scrittura di Baldwin, poliedrica e ricca, capace di far entrare il lettore nella mente di ogni personaggio, di seguire i loro pensieri, di vedere con i loro occhi, e al contempo descrivere i luoghi intorno a cui i protagonisti si muovono – Manhattan, il Village, Harlem, il sud della Francia. E gli spostamenti vanno di pari passo ai salti temporali, le digressioni, i flashback che aprono parentesi nel racconto e permettono di intravedere il percorso personale che ha portato fin lì ogni singolo personaggio e le difficoltà che ha dovuto attraversare.

Una narrazione stratificata e frammentaria che ricorda il ritmo del blues, la musica che risuona nei fumosi locali in cui suona Rufus e canta Ida. Un romanzo amaro e lirico che ti porta dentro un sistema di caste, di persone tenute ai limiti della società, dove basta un nulla per deragliare e non trovare più la strada giusta.

Un collage di storie, di esperienze, di dolori, di aspirazioni, di sogni condivisi ma anche una sottile linea di demarcazione rappresentata dalla linea del colore: Vivaldo e Rufus sono amici, ma Vivaldo non capirà mai cosa significa essere nero, non lo proverà mai sulla sua pelle. Pur avendo condiviso le stesse esperienze, subìto le stesse ingiustizie e affrontato le stesse difficoltà: il colore della pelle rappresenterà comunque un baratro insuperabile. Perché né l’amicizia, né l’amore bastano a colmare il divario, ad eliminare i soprusi, a riequilibrare le sorti sociali.

“[…] Lo so, non ci sono stato per lui, ma gli volevo bene, e di questo lì nessuno voleva saperne. Non smettevo di pensare loro sono neri e io sono bianco, però mi sono successe le stesse cose, proprio le stesse. Ma come glielo faccio capire?”
“Ma non sono successe a te”, disse lei, “perché sei bianco. Sono successe e basta. Quello che succede qui”, il taxi era uscito dal parco e lei, allungando il braccio, lo invitò a guardare, “succede soltanto perché loro hanno la pelle nera. È tutta qui la differenza”.

Un romanzo da leggere consapevoli di quanto dolore e di quanta iniquità è ricca la terra.

Un altro mondo di James Baldwin [Another Country 1960] – traduzione di Attilio Veraldi – Fandango Libri (2019) pag. 458

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