La rivoluzione necessaria

A chi non è mai capitato di guardarsi allo specchio e non riconoscersi? Fissare quell’estraneo che ci guarda e pensare di aver sbagliato tutto nella vita e accarezzare almeno con la mente l’idea di un trasferimento che ribalti e rivoluzioni l’intera esistenza?

Il dubbio viene a ogni outsider: dove ho sbagliato? Non è che ho fatto troppo disordine nella mia carriera? Troppe direzioni, troppe strade diverse… Guardo indietro e vedo teatro, poesia, cinema, narrativa… un po’ ovunque. Mi perdo tra le pieghe delle scelte, come se avessi voracità di provare, come se mi facesse innamorare il lavoro su ogni tipo di espressione della scrittura.

E’ quello che succede alla protagonista di A Londra non serve l’ombrello di Francesca Sangalli, una quarantenne alle prese con la crisi di mezza età, con una carriera, che non ha preso la piega desiderata, con una routine sempre uguale, che le fa mancare l’aria, ed una serie di idiosincrasie, che la portano a ripetuti attacchi d’ansia – visto anche che soffre di insonnia cronica – a base di incubi e divagazioni mentali.

Viviamo una terribile ansia generazionale da fluidità lavorativa. Perché non corri verso quel luminoso futuro che ti avevano promesso? Io mi sono spiaccicata contro il vetro come i gatti e come i miei amici. Per chi è nato intorno agli anni Ottanta, per chi è pure donna, ci siamo strozzate in un imbuto di speranze consumate e schiantate contro soffitti di cristallo durissimo. Cerchiamo spiegazioni sui social tra una ricetta dell’arrosto e un rimedio contro la colite spastica, ed è pieno di corsi e di tuttologi che hanno un’opinione su qualsiasi cosa, su come funziona il mondo o il tuo corpo.

Il suo desiderio non è però quello di rifugiarsi in una baita sperduta, alla ricerca di una riconnessione profonda e totale con la natura, seguendo l’esempio di Thoreau, ma quello di trasferirsi a Londra, metropoli vivace e multiculturale, a prescindere dalle difficoltà post Brexit, il costo della vita e la non trascurabile difficoltà linguistica, perché vivere a Londra con uno scarso B1 non è proprio facilissimo.

Il romanzo prende il via proprio da questa improvvisa decisione e scorre tra momenti di sconforto e momenti di entusiasmo.

Prima i dubbi se l’idea sia fattibile o meno, se marito e figlio condividano la sua voglia di passare la Manica, sempre con la paura di star commettendo un errore, calcolando spese, opportunità e decidendo infine di provarci almeno per sei mesi.

Poi, presa la decisione, affrontando problemi pratici e logistici di un trasferimento: la scelta di cosa portare e cosa lasciare, la ricerca della casa in una zona confortevole di Londra ma che non costi un rene, infine il dover affrontare con animo il più rilassato possibile il tutto, cercando l’aiuto del medico di famiglia, perché le prescriva ansiolitici con cui poter affrontare il trasloco in un altro stato non in modalità allarme rosso. La soluzione del medico, però, non è quella prevista: invece di farmaci le consiglia di prendere un gatto, perché si sa la pet therapy è sempre la soluzione migliore. E poco importa che questo comporti ulteriori problemi con vaccini e viaggi aerei: si può sempre fare il viaggio in macchina e passare la Manica via tunnel!

E così la nostra protagonista si troverà a combattere con le tarme che popolano la moquette dell’appartamento a Cambridge Gardens, a cercare di sopravvivere con una conoscenza approssimativa dell’inglese, a imparare a considerare le distanze londinesi, facendo un corso di climbing, mettendosi costantemente alla prova, ed assaporando soprattutto le conoscenze fatte, i nuovi amici conosciuti, l’incredibile quantità e varietà di musei, esposizioni, teatri, locali che solo una città come Londra offre.

E durante il suo soggiorno si troverà anche ad affrontare il lutto per la morte della regina Elisabetta, decidendo di affrontare ore e ore di fila pur di rendete omaggio al “couffin” della sovrana, travolta da tutta la commozione e il rispetto dei sudditi di Sua Maestà.

‘A Londra non serve l’ombrello’ scorre tra situazioni a dir poco surreali e riflessioni in cui ci si ritrova pezzi di sé: la difficoltà a trovare una propria dimensione, il senso di vuoto che spesso coglie se non si fanno lavori convenzionali e le domande su cosa si vuole dalla vita permettono di rispecchiarsi nelle parole di Francesca Sangalli. Pur essendo di una decina d’anni più vecchia dell’autrice, molte delle riflessioni che fa sul ruolo femminile, sulle aspirazioni, sulle illusioni, soprattutto lavorative, sono esattamente le sue. Sull’essere sempre troppo o troppo poco, continuamente giudicata e soppesata, costantemente alle prese con i sensi di colpa ad analizzare scelte, decisioni, rimpalli.

Che fatica pensare alla nostra identità femminile oggi. Con l’educazione degli anni Ottanta e Novanta ci è stata impressa l’idea di una donna che sa cucire, attaccare bottoni, che ha imparato da bambina a vestire e pettinare le bambole per prendersi cura degli altri, ma che allo stesso tempo deve essere intraprendente, performativa nel suo settore lavorativo, competitiva, autonoma finanziariamente, e (aggiungo io) magari anche in salute e desiderosa di far scintille a letto, con il completino sexy in pizzo bordeaux, tra una mail di lavoro in tarda serata e la lavapiatti da caricare, senza dimenticare la merenda per la scuola del figlioletto. La madre guerriera e donna leader imperturbabile, capace di dirigere l’agenzia aerospaziale e dividere i panni da lavare per categorie di colore? Salutista e maratoneta? E dove lo mettiamo il genio? Non l’hai ancora fatta una scoperta degna del nobel?

Vince, alla fine, la voglia di essere semplicemente se stesse, senza schemi né maschere. Libere di decidere di trascorrere sei mesi a Londra e ritrovarsi arricchite di esperienze, conoscenze e quindi di vita. Come fa la protagonista di A Londra non serve l’ombrello.

Se devo trovare un difetto a questo testo è l’essere a tratti un po’ dispersivo, argomenti che ritornano a più riprese e tendono, quindi, ad essere un po’ ripetitivi. Una maggiore condensazione di alcune parti avrebbe probabilmente reso più fluida e più incisiva la narrazione, che rimane però frizzante, in quel mix tra ironia e profondità, leggerezza e riflessione che rende la lettura piacevole.

A Londra non serve l’ombrello di Francesca Sangalli – Giunti (2025) – pag. 352

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