Viola Ardone ha la capacità di affrontare temi complessi e dolorosi della nostra recente storia con grande maestria, riuscendo sempre a commuovere e al contempo smuovere ragionamenti e pensieri. Lo aveva fatto con Il treno dei bambini e la storia del piccolo Amerigo e lo aveva fatto ancora di più con Oliva Denaro, una delle storie più belle e uno dei personaggi più indimenticabili mai letti. E fa centro anche con la sua ultima fatica Grande meraviglia che affronta il tema dei manicomi e della loro chiusura da una prospettiva diversa raccontando la storia di una ragazzina cresciuta proprio dentro un manicomio, e di un medico che ha fatto della malattia mentale e del suo recupero lo scopo della vita.
Il romanzo si presenta diviso in tre parti e narrato da due voci diverse in prima persona.
Nella prima, ambientato nel 1982, protagonista assoluta è Elba, che si chiama come il fiume della Germania, una ragazzina di quindici anni, assolutamente sana che è rinchiusa in manicomio da quando era piccola perché lì è internata sua madre, la sua Mutti. Una donna che ha fatto di tutto per rendere il più accettabile possibile la sua permanenza in un luogo inadatto ad una bambina, attraverso mille giochi che inventava per lei: dal Cinema muto alla Caramella fuggita, da Lello Cammello a Regina Reginella. Per questo Elba adora le rime, gli slogan delle pubblicità, tutti i numeri, ma in particolare quelli con la virgola perché sono precisi ma incompleti proprio come lei e tiene il Diario dei Malanni di Mente. Un modo per osservare la realtà che ha attorno e fare le diagnosi, che nella gran parte delle volte non coincidono con quelle di Colavolpe direttore e il deus ex machina dell’istituto, anche se alla fine ci azzecca più lei che lui.
Elba vive a MezzoMondo, che lei immagina come un’enorme barca che naviga in mezzo al mare, un mare dove ci sono le Tranquille e le Agitate, dove le caramelle blu o rosse sono la regola, e dove, quando le cose non vanno come dovrebbero, arriva Lampadina e dà una scarica elettrica che seda gli animi irrequieti e placa le ribellioni.
Accanto a lei ci sono Aldina che scrive poesie, il padre l’ha fatta rinchiudere perché meglio pazza che terrorista; Nunziata che soffre di crisi epilettiche; Nonna Sposina che inscena il suo matrimonio con chiunque; Mappina, cleptomane, finita lì dentro perché così ha deciso il marito per il bene dei figli, perché non era un buon esempio e la Nuova, che non dice una parola e ha disturbi alimentari. Ci sono anche Mastro Lindo, così chiamato perché ha bevuto il detersivo per farsi venire i muscoli come quelli della pubblicità, Sandraccio, l’ossessivo con una cicatrice che pare il binario di un piccolo treno e le infermiere Gilette, dai baffi importanti e Mezzadiscopa.
Elba ha trascorso solo qualche anno lontano da li, dalle Suore Culone, perché così ha deciso il Giudice ritenendo che un manicomio non è certo posto per bambini. Prima della partenza la sua Mutti l’ha portata in giardino e insieme hanno piantato un semino di mela perché le cose che amiamo non spariscono ma fioriscono. Quando è tornata però la sua mamma non c’era più, Colavolpe le ha detto che è morta, ma lei lo sa che è una bugia.
Ma le cose stanno cambiando anche a MezzoMondo è arrivato il Dottorino che ha introdotto la psicoterapia, organizza partite di calcio, fa uscire i pazienti a vedere la neve. E’ Fausto Meraviglia ha studiato con Basaglia e ora che la legge che porta il suo nome ha chiuso i manicomi, vuole dimostrare come i malati di mente non sono pericolosi e per curarli non serve rinchiuderli ma ascoltarli e portare alla luce le crepe dell’anima.
Nella seconda e terza parte la narrazione si sposta in avanti di più di trent’anni e si concentra su Meraviglia, il Dottorino, ormai anziano e stanco della vita, che si trova a parlare con l’assistente vocale e attende con ansia le visite del nipotino. L’uomo che per dedicarsi ai suoi pazienti, alla sua missione di liberare i manicomi, ha perso di vista i suoi affetti, la sua famiglia, i suoi figli rimasti marginali rispetto al resto. Un uomo che ha sempre amato raccontare storie rendendo difficile capire dove sia la verità e dove la bugia, che ha vissuto pienamente ed intensamente, forse troppo, tra successi professionali e disastri esistenziali. Meraviglia che tanti anni prima aveva preso sotto la sua ala Elba, regalandole un futuro ma anche cercando di imporsi su di lei, di plasmarla come un Pigmalione, sono ormai anni che non ha più sue notizie, l’ennesimo fallimento umano di cui è piena la sua vita.
Forse però c’è una cosa che potresti ancora fare per me. Potresti ascoltarmi e basta, ognuno ne ha il diritto nel suo ultimo giorno, anche chi si condanna da solo. Nessuno ha voglia di starmi a sentire, forse perché io non sono stato capace di farlo, le voci degli altri mi sembravano meno interessanti della mia. Ho amato l’umanità di un amore presbite: da lontano ogni esistenza mi sembrava degna di essere difesa, da vicino gli umani non mi piacevano più.
Viola Ardone intreccia due storie, due percorsi umani e professionali, raccontando al contempo la vittoria civile della chiusura dei manicomi, che però trovò tante resistenze. E ci disvela come nelle pieghe dei manicomi vivessero situazioni di disagio, di povertà, di disabilità, di miseria, ma anche di persone, soprattutto donne, che per non aver voluto adeguarsi alle regole imperanti, erano state rinchiuse e trattate da pazze, perché neanche la ribellione, meno che mai ai codici morali imperanti e alle regole del patriarcato, era concessa.
– Lo sapevi che alcune arrivavano qua perché erano considerate stravaganti, perché non erano capaci di badare alla casa, al marito e ai figli, perché si comportavano come maschi e volevano amare una donna? Anche questa è pazzia?
Personalmente trovo Viola Ardone la penna italiana più interessante: con un stile fresco, poetico e ironico insieme, riesce a raccontare storie dimenticate e dolorose che hanno ancora tanto da insegnarci.
Qui dà voce alla giovinezza spensierata di Elba prima e alla vecchiaia malinconica di Fausto dopo, riuscendo ancora una volta a dare parola a chi non ce l’ha e facendo trasparire le fragilità che ognuno nasconde.
E se ho amato senza misura la prima parte, lo sguardo disincantato e poetico con cui Elba riesce a trasformare il manicomio in un luogo magico, una sorta di realtà sospesa dove la normalità è bandita, ho trovato più faticose la seconda e terza parte, le vicende umane di Meraviglia, seppur coerenti al racconto, ad un certo punto diventano ridondanti e relegano ai margini, la realtà dei manicomi e delle malattie mentali.
Grande Meraviglia di Viola Ardone- Einaudi Stile Libero BIG (2023) – pag. 298